Ecco i limiti del telelavoro secondo una indagine svolta presso i dirigenti
Il coronavirus ha dato una ‘botta di crescita alla capacità di lavorare in remoto anche nella Pubblica amministrazione, ma non è tutto smart quel che si fa da casa. Anzi, ci sono significative lacune che rispondono alla mancanza di protocolli di sicurezza informatica e ai problemi di connessione. A metter in evidenza queste problematiche è stata una indagine che Promo PA Fondazione ha diffuso in settimana: “La verità sullo smart working” ha intervistato 50 dirigenti apicali del settore pubblico, al fine di identificare luci, ombre e prospettive di quello che potrebbe essere il nuovo modus operandi nazionale anche post emergenza sanitaria. “I risultati evidenziano che le amministrazioni si sono trovate con il respiro corto nel dover implementare in fretta e furia questo strumento poco diffuso nella PA – ancorché già disciplinato dalla legge del 2017 – tant’è che circa un quarto delle Amministrazioni non si erano dotate di regolamento, che è stato adottato, quando possibile, d‘urgenza”, spiega il rapporto. In questa situazione – tutto sommato – si riesce a lavorare. Ma se dovrà diventare più strutturale e migliorare la relazione tra professione e qualità delle vita personale, uno smart working ben fatto “richiede una serie di cambiamenti nella PA, che necessariamente dovrà passare dal potenziamento delle infrastrutture digitali e dalla rivisitazione dei modelli organizzativi”. La fotografia scattata dalla ricerca Promo PA evidenzia infatti una serie di criticità. Al primo posto, i rischi sulla sicurezza informatica dovuti all‘utilizzo di PC personali. “A fronte di una percentuale dell”81% di lavoratori inglesi che esercita la propria attività su portatili forniti dal datore di lavoro, nella PA italiana il 50% dei rispondenti dichiara che meno del 40% dei dipendenti lavora su PC aziendali (con valori che scendono fino al 10% nel caso di alcuni Comuni). Questo comporta un evidente impatto negativo sulla sicurezza informatica, in quanto l’accesso ai data base degli Enti tramite PC personali, privi dunque di adeguati requisiti di sicurezza, implica un elevato rischio hackeraggio, violazione di privacy e perdita controllo dati”. In secondo luogo si registrano “problemi di connessione internet e difficile adeguamento culturale al nuovo contesto di lavoro”. La metà dei dirigenti interessati ha dichiarato che ci sono queste problematiche, parlando di un 30% dei lavoratori in smart working che ne sono affetti. Da ultimo, se in linea teorica lo smart working – concedendo maggior benessere ai dipendenti – dovrebbe garantire un aumento della produttività nel medio periodo, in questa situazione d’emergenza nella quale i lavoratori sono stati catapultati dall’oggi al domani nel telelavoro si verifica una perdita di efficacia. “In termini di produttività, adeguamento organizzativo e collaborazione fra uffici si evidenzia un gap complessivo pari al 30%. Ciò sembra produrre – come denunciato dal mondo imprenditoriale – ritardi diffusi nella emanazione dei nuovi bandi di appalto, nel rilascio di concessioni, di autorizzazioni e licenze, che hanno e avranno sempre più un impatto dirompente sulle economie locali, sommandosi alla già difficile situazione economica”. Le conclusioni cui giunge Gaetano Scognamiglio, Presidente di Promo PA Fondazione, indicano due linee guida per una modalità lavorativa smart nella PA: l’attivazione di un piano di investimenti nella digitalizzazione e nelle tecnologie; l’avvio di un percorso formativo a 360° rivolto a tutti i dipendenti, al fine di implementare un nuovo metodo di lavoro, basato su una collaborazione orizzontale, sull‘uso costante di tecnologia e su obiettivi condivisi.fonte: La Repubblica