Trefoloni e Associati

In cammino fra alberi, boschi, sentieri e libri A lezione di meraviglia Ci sono libercoli sottili che hanno il dono di arrivare al “cuore” del lettore appassionato molto più di impegnatissimi e acculturati tomoni di centinaia e centinaia di pagine. Ovviamente è una ricchezza poter disporre degli uni quanto degli altri, ciascuno utile a suo modo. Di certo fra i primi può figurare Brevi lezioni di meraviglia (The Sense of Wonder) di Rachel Carson, da poco mandato alle stampe per i tipi di Aboca. Elogio della natura per genitori e figli, recita il sottotitolo. Rachel Carson (1907-1964) è stata una figura importante nell’ambientalismo nordamericano, con quel suo epocale Primavera silenziosa, esploso poche stagioni prima della sua dipartita, nel quale si annunciava la moria di insetti e uccelli innescata dall’utilizzo su larga scala dei pesticidi. Sembra ieri ma sono già passati cinquant’anni. Brevi lezioni di meraviglia è un testo confidenziale, confessionale, nella quale una matura signora trascorre le estati in una casa sulla spiaggia lungo l’incantevole costa del Maine, con bosco annesso, dove ospita il nipote, Roger. Fin da piccolo lo abitua a esperienze che l’educazione canonica non contemplerebbe, come l’andare incontro alla furia ciclopica delle onde del mare di notte, quando i sensi e la percezione sono alterati.   «Enormi onde tuonavano, bianche forme a malapena distinguibili che esplodevano e urlavano gettandoci addosso grosse manciate di schiuma», ci pare quasi di esser lì, a ridere inebetiti, un po’ spaventati, ma contenti a sentirci scuotere da quelle onde e dal vento, dal sapore di sale e dal profumo della salsedine, le alghe sulla spiaggia e la sabbia tra le dita. Ed è proprio questo che Carson va a ricercare nelle pagine di questa “lezione”, la meraviglia, l’incanto, il guardare e il curiosare, senza sapere, tutta questa importanza che oggi affidiamo al sapere, al conoscere, allo spiegare il tutto razionalmente, ma la cosa più importante è e resta il sentire, e non affatto la stessa cosa. Ammirare le geometrie dei licheni – «anelli d’argento su una roccia» – o delle rigogliose piante, il ginepro, la morella, il mirtillo, i gigli di montagna o il muschio di renna, ciascuno col suo bel nome latino che non è necessario imparare: «Se le nozioni sono i semi che più avanti producono conoscenza e saggezza, le emozioni e le impressioni dei sensi sono il terreno fertile in cui quei semi devono crescere.» Conta preparare il terreno, dice Carson, ed io credo che quel terreno invero lo si prepari e curi tutta la vita, l’unica differenza sta nel fatto che da bambini c’è chi lo può lavorare insieme, forse anche in nostra vece, ma poi, crescendo, diventando gli uomini e le donne che siamo tocca a noi, a noi soltanto, coltivarlo, alimentarlo, arricchirlo, non lasciarci diventare simulacri avari e infertili.   Di certo «chi contempla la bellezza della terra trova riserve di forza che dureranno quanto la sua stessa vita», scrive Carson. E qui mi sovviene un aneddoto, fra i tanti, di un amico fiorentino che da ragazzo frequentava il poeta Mario Luzi, che già avanti negli anni passeggiava con lui su un Ponte Vecchio già in fase di aggressione turistica e, osservando le acque, indicava con l’entusiasmo di un bambino, a voce alta, tutto trafelato, una grossa nutria che nuotava pacifica e beata. Ecco, quel che la Carson testimonia è che chi sa sondare con gli occhi e l’entusiasmo di un bambino il mondo che lo circonda, dai piccoli insetti alle notte stellate, saprà far fronte alle prove dell’esistenza nutrendosi dello stupore, anche quando tutto sembra compromesso o perso, anche nello spavento più fondo, e dopo la tempesta, arriva comunque il sereno. E così sarà anche per questa nostra epoca di pandemie. PS – Mi permetto di avanzare un complimento alla traduttrice, Miriam Falconetti: la resa delle descrizioni in italiano è assai appagante.   Tiziano Fratus vive in una casa davanti a un bosco. E’ autore di molti libri e medita. Studiohomoradix.com Fonte: La Repubblica
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